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Napoli, venerdì 29 marzo

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Covid e mobilità, la chimera della sicurezza

Il Presidente

Sin da quando è stato istituito il lockdown, e successivamente, quando il Paese, lentamente, ha iniziato ad aprirsi alle attività ed ai collegamenti interregionali, abbiamo cercato di attirare l'attenzione sulla questione della mobilità in sicurezza. Consapevoli dei limiti, per non dire dello sfascio, come nel caso della nostra città, del trasporto pubblico locale, ulteriormente ridimensionato dalle norme sul distanziamento fisico da osservare a bordo dei vettori, ci chiedevamo come ci si potesse spostare sul territorio senza correre il rischio di essere contagiati. E la migliore risposta non poteva che essere il ricorso al mezzo privato, l'unico in grado di poter schivare gli assembramenti, ma con l’handicap di congestionare il traffico cittadino se usato massivamente. In queste condizioni, si poneva al Governo ed alle Amministrazioni locali una sfida, a primo acchito, impossibile: tutelare la salute pubblica, evitando il caos. La chiusura delle scuole, lo smart working come modalità prevalente nella pubblica amministrazione e le vacanze estive, in qualche modo, hanno attutito la questione che, adesso, però, si è imposta con carattere di urgenza.
Serviva, come da noi suggerito sulle pagine di questo giornale, un'attività di pianificazione complessiva da svolgere nell'ambito di una cabina di regia capace di coordinare la molteplicità degli interventi da mettere in campo non solo relativamente all'offerta di trasporto, pubblico e privato, ma anche alla riorganizzazione dei tempi (orari di apertura degli uffici, dei servizi, delle attività, delle scuole ecc.) e degli spazi (ztl, aree pedonali, zone da destinare alla movida, corsie preferenziali, piste ciclabili ecc). della città. In tale sede si sarebbe potuto ipotizzare, fra l’altro, l'impiego ausiliario dei bus turistici e da noleggio ad integrazione di quelli pubblici, senza escludere quei tanti pulmini abusivi che, se in regola con i requisiti di legge, potrebbero rapidamente essere autorizzati; forme incentivanti a favore di taxi e car-pooling; la rimodulazione delle linee su gomma al fine di favorire i percorsi più battuti, prevedendo un maggior interscambio fondato su tratte brevi e più veloci; l'individuazione di linee di trasporto dedicate alle scuole da potenziare nelle ore di ingresso e uscita degli studenti; un razionale decentramento dei servizi essenziali; un più razionale uso dello smart working che non fosse sinonimo di vacanza dal lavoro; lo scaglionamento degli orari di apertura degli uffici pubblici; i doppi turni nelle scuole. Insomma, a volerlo, con tre mesi di tempo a disposizione, si sarebbe potuto arrivare a settembre più preparati ed efficienti. Invece, nulla di tutto ciò è stato fatto e adesso siamo alle solite: si vuole ripartire con la scuola, ma improvvisando proposte pasticciate e addirittura ad alto rischio per la salute. Elevare, infatti, la capienza dei mezzi pubblici sino all'80% significa aumentare la probabilità di viaggiare a stretto contatto fra i passeggeri e, quindi, di essere contagiati. Inventare una nuova categoria di esentati dall'obbligo di rispettare le distanze di sicurezza, qual è il "gruppo abituale”, non può servire a proteggerli dal Coronavirus. Prevedere all'interno dei bus l'installazione di appositi pannelli volti ad assicurare la giusta distanza tra i passeggeri è un’ipotesi suggestiva, ma irrealizzabile nel breve, mentre l'autocertificazione per accedere alle funicolari è un'assurdità colossale che va immediatamente rimossa per la sua totale inutilità, in relazione agli asintomatici. E su tutto resta il dilemma di sempre: chi e come controlla il rispetto delle regole sui vettori pubblici ed alle fermate.
Evidentemente, manca la volontà politica di affrontare il problema in un’ottica globale, che richiede tempo, fatica ed unità d’intenti, preferendo la scappatoia dei provvedimenti d'urgenza più semplici da definire e da attuare, benché poco efficaci ma utili per sollevare i decisori pubblici dalle responsabilità di una eventuale seconda ondata della pandemia. L’impressione è che tacitamente si stia accettando una condizione indicibile: rassegnarsi all'idea  di convivere con il rischio del contagio, sperando nell'immunità di gregge e nella capacità del sistema immunitario individuale di sapersi attrezzare per fronteggiare questa nuova minaccia: insomma, si privilegiano i più forti e resistenti al virus (ovvero i giovani) a scapito dei deboli (cioè gli anziani). Nell'attesa che vengano individuate, quanto prima, cure e vaccini efficaci, quindi, non ci resta altro che incrociare le dita ed andare avanti, auspicando, quanto meno, il rinvio dell'apertura delle scuole a dopo le elezioni. C'a Maronna c'accumpagne, per dirla alla maniera di Sua Eminenza Cardinale Sepe.

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